Il contesto

Disordine, Forze del

Questo racconto è stato pubblicato il 18 maggio 2025 in Stortə Zine n. 1: Disordine.

L’antologia può essere acquistata presso l’associazione L’Intreccio Viola di Torino oppure online attraverso la pagina Instagram di Stortə Zine. Di seguito il testo integrale in open access.

***

Addì sabato 8 marzo 2025, Caserma Cernaia, Torino.

Alle ore 10:15, dietro segnalazione dell’Autorità di Pubblica Sicurezza e informata la Prefettura di Torino, la Polizia Municipale provvedeva a chiudere al traffico via Cernaia, via Pietro Micca e corso Siccardi fino a corso Galileo Ferraris. Negli stessi minuti la vettura incaricata, previo permesso accordato dall’Autorità, percorreva da sola il viale ed entrava nel parcheggio della Caserma dei Carabinieri. Dal sedile posteriore della vettura scendeva l’Appuntato Sordella di anni ventitré, statura media, capelli pochi, in uniforme e cappello al gomito.

Gli andava incontro il Maggiore Piccagnella, che gli mostrava la strada per gli uffici del Commando al primo piano. «Avete fatto buon viaggio, Appuntato? Arrivate in una giornata decisamente interessante…»

«Così mi han detto,» confermava l’Appuntato. Si fermava brevemente alle finestre che affacciano su via Cernaia, e constatava l’accalcarsi di una piccola folla notevolmente rumorosa di fronte all’ingresso della Caserma dei Carabinieri, ora presidiato dalle squadre antisommossa.

L’Appuntato Sordella aveva perciò richiamato indietro il Maggiore. «Piccagnella?»

«Ai disordini, Appuntato.»

«Chi è questa gente?»

«Sono le femministe che manifestano.»

Usciva in quel momento dai servizi igienici maschili il Sottotenente Ricci, che si si presentava all’Appuntato con le mani umidicce, e nell’accostarsi anche lui alle finestre scuoteva il capo con grande apprensione. «Le femministe manifestano *insieme con i centri sociali* di questi tempi…» Ma per non mettere nell’imbarazzo il nuovo arrivato, si rimandavano le discussioni strategiche al momento in cui l’Appuntato sarebbe stato edotto della politica cittadina.

In effetti, l’Appuntato Sordella di anni ventitré, aveva fatto la maturità due estati prima, ragioneria. Si era imbarcato sul volo da Catania la mattina dell’8 marzo, prima dell’alba, salutando al gate l’amata madre e la fidanzata Mariangela, per atterrare a Caselle alle 9:29 dopo un viaggio breve e tranquillo. Era la prima volta in vita sua che si trovava in Torino. (È quanto avrebbe sostenuto sotto giuramento l’11 giugno, chiamato a testimoniare davanti al Tribunale Militare sui fatti di quei giorni.)

Intanto il Maggiore Piccagnella conduceva l’Appuntato nelle ampie stanze comuni degli Ufficiali. Qui faceva la conoscenza del Maresciallo Capo Potenzoni, del Maresciallo Nobile e di due dei tre Esposito (tutti Sottotenenti per evitare confusioni). L’Appuntato constatava allora la correttezza delle poche informazioni preliminari ricevute, dacché tutti gli ufficiali presenti gli riservavano un cenno di capo, quasi un piccolo inchino. Questa stupefacente usanza si confà a una certa peculiarità gerarchica, ormai solida e radicata nella storia secolare e nelle tradizioni della Caserma Cernaia — tanto da essere descritta perfino in alcuni dei più pregevoli e autorevoli manuali di strategia dedicati al Corpo dei Carabinieri, come quello da cui l’Appuntato Sordella aveva giustamente (sebbene non troppo volentieri) studiato.

Infine, in conformità a dette peculiarità gerarchiche, il Maggiore Piccagnella conduceva l’Appuntato nel suo ufficio privato. Si affacciava alla porta anche il Maresciallo Nobile, precedente occupante dell’ufficio, per accertarsi che ogni cosa fosse al suo posto.

Nobile, di anni trentacinque, era dai più considerato una brava persona nonostante fosse un ligure. Era stato un buon Allievo, poi un buon Appuntato, e un buon Brigadiere; nell’impartire i cosiddetti *disordini* agli ufficiali, era stato sempre ragionevole e razionale, e si era guadagnato il loro rispetto con le azioni. Ecco spiegata anche la ragione per cui, dal giorno della promozione di Nobile a Maresciallo, le voci correvano di una catastrofe imminente. «Un altro nobile come voi dove lo troviamo, eh?» domandava uno dei Sottotenenti Esposito tra il serio e il faceto. E difatti.

L’Appuntato Sordella si era accomodato nel suo ufficio e prendeva posto davanti al computer spento. Chiamava allora il Sottotenente Ricci.

Ricci: «Ai disordini, Appuntato.»

«Com’è la situazione di sotto?» chiedeva Sordella a voce alta, sicché tutti gli ufficiali sentirono lo scambio dalla porta aperta.

Ricci: «Subottimale, a dire poco.»

Sordella: «Ah. Aspetto il vostro rapporto dopo pranzo, eh?»

Eh, gli faceva eco Ricci mentre se ne andava. Scambiava uno sguardo con il Maggiore Piccagnella, nell’angolo della stanza comune, e gli trovava un sorriso da camerata, bonario come un papà, ma sempre un po’ teso, dacché per questa peculiarità della Cernaia gli erano tutti superiori in grado, nessuno escluso.

Il Maggiore Piccagnella, abruzzese, di anni cinquantaquattro, aveva passato alla Cernaia gli ultimi ventuno, di cui la gran parte come istruttore alla Scuola Ufficiali. Era rispettato anche lui, nonostante un carattere sanguigno che si era tradotto in qualche insulto fisico di troppo agli allievi. Nel tempo si era visto impartire disordini da uomini di dubbie qualità, e perfino da donne. Forse solo oggi, a poco più di tre anni dalla pensione, aveva cominciato a nutrire una sana simpatia per il Brigadiere Nobile e una qualche fiducia nei suoi disordini. Peccato che, come si è detto, il Brigadiere era stato promosso a Maresciallo lasciando vacante il posto fino all’arrivo di questo Sordella.

«Piccagnella vi fumano le orecchie,» lo appellava Potenzoni.

«Potete ben dirlo, Maresciallo.»

E allora tornavano ciascuno al suo lavoro; qualcuno veniva mandato in ufficio ad accedere il computer dell’Appuntato Sordella e a fornirgli le password di cui ogni nuovo venuto abbisogna. Di tanto in tanto l’Appuntato chiamava a gran voce qualcuno, poneva una o due domande che il Maggiore Piccagnella reputava completamente imbecilli, e terminava il colloquio con un disordine superfluo e per la gran parte francamente sconsiderato.

Intorno alle 12:50 si udiva la prima esplosione. Accorrevano i più alle finestre, e trovavano cresciuto a dismisura il livello delle voci che si alzavano da via Cernaia. La caserma era circondata di autoblindi contro i quali si scagliavano isolati gruppi di manifestanti, maschi e femmine indistintamente, e altri sediziosi che nel frattempo si erano uniti alla protesta. «Ma cosa fanno?» chiedeva l’Appuntato Sordella.

«Bombe molotov,» rispondeva Rizzo, che aveva passato la mattina in contatto radio con i colleghi in antisommossa al piano di sotto. Guardava allora l’orologio da polso, e nell’attesa del graduale degenerare dell’ordine pubblico, si decideva che era l’ora di andare a pranzo.

Alle 13:02 il Maggiore Piccagnella entrava nella mensa ufficiali e, sotto gli occhi di tutti i presenti, si portava le mani a coppetta al viso e ci soffiava dentro nel tentativo di scongelare il naso che gli si era arrossato per il freddo. Ordinava pasta al sugo e scaloppine e raggiungeva i colleghi al tavolo rotondo che erano soliti occupare.

Potenzoni, vedendolo arrivare: «Maggiore, vi siete rinfrancato?»

Piccagnella: «Neanche per scherzo, Maresciallo.»

Esposito (2): «Io l’avevo detto, l’avevo detto io Maggiore, che un altro come Nobile non lo si trovava tanto facilmente.»

Nobile faceva il falso modesto. Un altro ufficiale aggiungeva: «È da pazzi dover prendere disordini da uno così.»

Piccagnella: «Con tutta l’esperienza che abbiamo poi…»

Il Maresciallo Nobile, spezzando il pane: «Fate tesoro, Maggiore. Vi serve tutta quell’esperienza lì perché è più facile dare i disordini che prenderli…»

Gli ufficiali più giovani allora ridevano, e Piccagnella per il nervoso si macchiava la divisa si sugo di pomodoro.

«È il sistema che è sbagliato,» protestava, mentre Esposito (2) gli passava delle salviette pulite. «Ma vi sembra un Paese serio? Questo sistema dei disordini è demenziale!»

Potenzoni: «Ma Maggiore, lo sapete anche voi che avete tutta la ragione del mondo…»

Esposito (2): «È colpa del Sessantotto, Marescia’…»

Piccagnella: «Ma quale Sessantotto e Sessantotto, qua le regole vanno cambiate!»

«Fumate Maggiore?» aveva chiesto Nobile, e agli aveva messo una mano sulla spalla.

Piccagnella: «Ma sì, che mi è passata la fame.»

I due ufficiali erano usciti nel cortile, e nessuno li aveva seguiti. Il cortile interno della Cernaia era pieno di agenti in antisommossa, la folla da fuori calpestava e sbraitava *Tout le monde déteste la police*. Alcuni agenti rientravano con gli scudi insanguinati, mentre alcuni istruttori ne avevano approfittato per portare gli allievi Carabinieri a vedere la situazione, muovendosi in fila per due sull’asfalto, visibilmente eccitati. Nobile e il Maggiore Piccagnella si sistemavano raso al muro e accendevano le sigarette.

Nobile: «Maggiore, con tutto il rispetto… non è che potete dare aria alla bocca come vi pare e piace»

Il Maggiore Piccagnella accoglieva l’ammonimento in silenzio e seguitava a fumare. In quel momento attraversava il cortile l’Appuntato Sordella diretto alla mensa anche lui, con le scarpe perfettamente lucide. Salutava allegramente i due ufficiali con la mano. «Ci parliamo dopo, eh?»

«Certo Appuntato, buon pranzo,» rispondeva Nobile.

Il Maggiore Piccagnella aspettava che l’Appuntato fosse sufficientemente lontano, poi sospirava. «Lo vedete come è assurdo, Maresciallo?»

«Ma certo che lo vedo Piccagnella, lo vedo eccome, chi è che non lo vede! Ci sarà pure un motivo se nel resto del mondo funziona come dite voi, e solo qui da noi il mondo va al contrario, che dite? Ma non sta mica a voi dirlo, altrimenti tra poco vi troveremo fuori dal cancello a tirare le molotov anche voi. Non ridete, Maggiore, non ridete, io mi preoccupo per voi,» dava poi una lunga boccata dalla sigaretta e la spegneva nel posacenere col simbolo dell’Arma. «Maggiore Piccagnella, di anni cinquantaquattro, e siete ancora qui a cercare di sovvertire il disordine. Ascoltate a me, Maggiore, questa cosa non si può fare, lo dico per voi. Non si può sovvertire il disordine, eh?»

«Eh.»

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Il contesto

Stefano Zuliani (lui/ləi)

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