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Laboratorio di scrittura vigile

🕒 4 minuti di lettura

  • Genere: Non Fiction
  • Modalità: Individuale o gruppo, online, in differita

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Una delle frustrazioni che mi capita di provare quando scrivo di realtà viene dalla sensazione che la mia coscienza non sia abbastanza vigile per cogliere ogni volto e ogni mutamento del mondo, la sensazione di non saperne abbastanza o di non poter dire di più (come quando parlo di luoghi). Prima ancora della memoria e dei suoi inganni, sembra un problema di percezione e di sensi. Quello che riesco a catturare è solo una minuscola parte di quello che voglio raccontare, un singolo livello di tutto l’intricato sistema di legami e azioni che rendono quello che vedo esattamente ciò che vedo.

Non c’è un modo semplice per uscire da questa impasse, quando ti ci trovi a scrivere dentro. Proprio come nelle pratiche di mindfulness, molta parte è prendere atto e accettare i limiti, ma anche riconoscere che tendiamo a esagerare la portata dei limiti.

Qui di seguito trovi alcuni consigli per un’attività laboratoriale che ho trovato molto utile per confrontarsi con questo tipo di frustrazione.

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Parti da una fotografia fatta apposta per l’occasione. Esci da solə, scegli un soggetto che conosci bene (io ho scelto l’autorimessa abbandonata di fronte a casa), e scatta una foto con il cellulare. Non importa se non è particolarmente bella dal punto di vista estetico e della composizione; puoi scegliere un quadro più o meno ampio, l’importante è che abbia un soggetto chiaro.

In un secondo momento, nello spazio solitario della scrittura o in quello collettivo di un gruppo laboratoriale, dovrai sforzarti di descrivere quello che c’è nel riquadro della foto, di spiegare cos’è quel soggetto, che ruolo ricopre, qual è la sua storia, com’è la sua vita, che relazioni intreccia con altri viventi e non viventi, eccetera. Non deve essere tutto vero e documentato, puoi anche speculare, tutto però va difeso in qualche modo. Quello che importa è che sia verosimile, che abbiamo buone ragioni per sostenere che quello che dici o scrivi sia reale.

Dalla foto dell’autorimessa vedo che deve essere abbandonata da molti anni, perché non solo le edere e le erbe spontanee sono cresciute sulle pareti umide, ma addirittura un albero di quattro o cinque metri ha messo radici sul tetto piatto del capannone.

All’inizio gli elementi a cui fai riferimento (le edere, l’albero) si trovano tutti dentro il quadro della foto. Ma man mano che vai avanti, ti renderai conto che le relazioni e la storia che stai costruendo eccedono la foto, e si servono di impressioni e suggestioni che mescolano il dentro e il fuori. Com’è che l’autorimessa è stata abbandonata? E come mai non ci sono quasi più officine in centro città?

Dalla foto dell’autorimessa è impossibile afferrare che ci troviamo in centro città. Descrivere ciò che c’è dentro la cornice chiama in causa ciò che sta oltre, all’esterno. Questo esterno sarà tanto più difficile da comunicare all3 altr3, o da mettere su pagina, quanto più impalpabili sono gli elementi con cui stiamo costruendo la nostra descrizione. Una sensazione non del tutto chiara, un senso di qualcosa… sforzati di recuperare quanti più dettagli possibile che ti fanno dire quello che stai dicendo. Naturalmente resterai pienə di buchi e incertezze, rimani a contatto con loro. Forse gli stimoli che stai cercando e non riesci a trovare sono davvero andati persi… ma forse c’è qualcosa di più importante che ha attirato la tua attenzione.

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Il punto centrale di questa attività è imparare a fidarci della coscienza, anche quando la sua portata e il campo dei nostri sensi ci sembrano drammaticamente limitati.

Potresti renderti conto che, il più delle volte, cercare di direzionare la tua coscienza mentre scrivi non-fiction è una forzatura. Dare nome e cognome alle sensazioni che hai provato realmente, ossia razionalizzarle, non è utile a descrivere la realtà. Al contrario, confrontarsi con tutta l’amalgama inestricabile di sensi e suggestioni, passare del tempo a osservarla, può far emergere storie e dettagli che sono già significati dalla tua soggettività e che in questo senso sono autentici.

Scrivere è un mezzo, non uno scopo. Quando usi la scrittura ti situi non solo nel tuo tempo, nella tua parte di mondo, nella lingua e nella cultura di cui partecipi, ma anche in te stessə, dentro la tua pelle, i tuoi sensi, il filtro della tua cognizione e delle tue emozioni. Quando descrivi la realtà, descrivi prima di tutto la tua realtà, la realtà di te stessə, che come ci insegna la psicanalisi, è per la gran parte invisibile e non-cosciente. Ma questo non è il limite della coscienza, è il luogo da cui attingiamo le risorse per produrre significati veri.

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