A proposito di una macchina

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Con questo libro torno a pensare a quel paragrafo di Marx secondo cui «una macchina che non serve al lavoro è inutile». La macchina a cui si fa riferimento qui non solo serve al lavoro, ma ha senso solo se paragonata alla capacità di produrre plusvalore della manodopera industriale dell’Italia degli anni Sessanta.

Siamo a Milano, nello stabilimento delle Lombarde, il reparto numero 3 è dedicato alle operaie (perlopiù donne) addette alla produzione di bobine di corda. Succede che arriva Marianna, una giovane senz’altra esperienza che il lavoro domestico, e accetta di occupare il posto al Vanguard. Il Vaguard: la famigerata macchina assassina che ha tranciato una mano all’operaia precedente e gliel’ha portata via. Ma soprattutto, la macchina che permetterà a una sola operaia di rimpiazzare decine di lavoratrici del numero 3.

È la modernizzazione con tutte le sue contraddizioni. La vita urbana è ancora quella sgraziata della metropoli industriale, ma il sindacato è già morto, il ricatto occupazionale è già la norma, l’immigrazione dal sud Italia si mescola alla coscienza di classe di quelli che lì ci lavoravano da prima, quelli che si sono tesserati per convenienza fianco a fianco con quelli che hanno tirato su i figli a pane e comunismo.

In un’Italia in cui i modelli della produzione e del consumo stanno cambiamento rapidamente, in cui i giovani operai si comprano la Lambretta e gli ingegneri perfezionano sempre nuove macchine per il lavoro, Giovanni Pirelli ambienta un romanzo operaio molto complesso, che va a cercare dentro le persone il senso della Storia. Non so la letteratura working class è ciò di cui abbiamo bisogno, ma mi sento di dire che questo romanzo è un tipo di letteratura di cui abbiamo bisogno.

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