Quando Natalie Goldberg, nel suo famoso Scrivere zen, ci invita a “Diventare animali”, di certo non intende quello che intendiamo noi sul monismo ontologico e qualche forma radicale di antispecismo. Ma su una cosa siamo d’accordo: è estremamente difficile essere presenti a sé stessɜ quando si pensa di scrivere (su questo argomento ho fatto una pratica laboratoriale anch’io).
La scommessa del laboratorio Storia di un Corpo, invece, è non solo di poter praticare la consapevolezza, e farlo in uno spazio condiviso con un gruppo di potenziali sconosciutɜ, ma di poterlo fare attraverso il corpo per mettere al centro del testo il corpo stesso.
In Dysphoria Mundi Paul B. Preciado racconta un altro modo di vivere il suo corpo, di pensarlo. Quella che chiama somateca è un po’ carne, un po’ sensi, un po’ vulnerabilità, un po’ anche agency. L’unico problema del testo di Preciado è che, come filosofo, non ha la stessa capacità di superficialità che ha Natalie Golderg, e che dovremmo avere anche noi quando decidiamo di rimanere nel presente qui-e-ora (o perlomeno in un qui-e-ora, fosse anche uno della memoria).
Comunque, proseguendo con le tappe del laboratorio e praticando sempre di più questa strana commistione di scrittura e meditazione, mi rendo conto che anche pensare alla Storia di un Corpo come l’ha scritta Pennac non è proprio esatto (peraltro, per sua stessa ammissione, il titolo soffre di una cattiva traduzione italiana, sarebbe qualcosa di più simile a Diario di un corpo…). Quindi ho deciso per il momento di storpiare il titolo in Storie di un Corpo, tanto per dire che le storie che si vanno accumulando incontro dopo incontro nel mio quaderno sono decisamente eterogenee e parlano di pezzi di mondo (e di corpo) apparentemente estranei tra di loro.
Ecco, ne pubblico qualcuna qui. Ognuna è il frutto di una sessione di scrittura automatica, a malapena riviste e corrette. Per dire che non hanno un grande stile, ma va anche bene così.