• Sulle dimensioni politiche del Solarpunk

    In questi giorni di frenesia fantascientifica (è finito ieri Stranimondi, a cui non ho partecipato fisicamente, ma il digitale ci rende ubiqu3), torno con un punto fermo sul Solarpunk.

    Qualsiasi cosa sia, il solarpunk è profondamente politico. La politica è la pratica di determinare le disposizioni in base alle quali distribuiamo le risorse e ci relazioniamo in diversi modi gli uni con gli altri. In altre parole, chi fa le cose, chi riceve le cose, e come siamo tenuti a trattare sia le persone sia le cose.
    Quasi ogni contenuto solarpunk che io abbia visto o letto suggerisce che il futuro solarpunk risulterà da scelte sfumate riguardo a queste disposizioni, non da avanzamenti tecnologici incredibili.

    Andrew Dana Hudson, Sulle dimensioni politiche del Solarpunk, in Solarpunk: Come ho imparato ad amare il futuro, AA.VV., Traduzione di Stefano Ternavasio.

    ——- /// ——-

  • Il braccio sinistro di Whininfred (romanzo)

    Ho scelto una forma un po’ informe per parlare di qualcosa che è effettivamente ancora un po’ informe.

    L’antologia di cui parlo alla fine è The weight of light. A collection of solar futures ed è scaricabile gratuitamente da qui.

    ——- /// ——-

  • L’arcipelago dei limoni

    La storia che sto scrivendo in questo momento si chiama L’arcipelago dei limoni e, in pochissime parole, è un racconto più o meno solarpunk ambientato in un’Italia che è stata quasi interamente sommersa dal mare. Alcune cime degli Appennini sono riemerse come isole in questo nuovo paesaggio. L’arcipelago che si è formato ospita alcune comunità di superstiti, che vivono grazie a un sistema centralizzato di distribuzione delle risorse. Sistema che, neanche a dirlo, ha dei problemi…

    Qui la mappa:

    Mappa arcipelago

    ——- /// ——-

  • Raccontare l’utopia

    Reihardt nel secondo capitolo della sua storia del pensiero politico moderno storicizza il comunismo di Marx inserendolo nello sviluppo delle idee di utopia. Non solo Marx rientra in questa corrente, ma sembrerebbe essere il punto più alto raggiunto finora (sebbene io sia convintə che la prefigurazione anarchica è più utopica della teoria marxista).

    Pensare, e quindi raccontare, l’utopia è molto difficile perché devi prima di tutto decolonizzare l’immaginario. Quando pensi: “qual è il modo migliore possibile in cui questo potrebbe essere?” in genere la risposta ricalca la forma che il capitalismo le ha dato. Ad esempio se chiedi: qual è il mondo migliore che puoi immaginare, sarà probabilmente quello in cui tutti hanno tutto, faticano il giusto e ottengono i loro risultati, c’è la crescita economica, la tecnologia ci aiuta (tutt’al più è equa, con qualche forma di fully automated luxury communism). Ma in realtà, da un punto di vista estetico e funzionale, questo è esattamente l’immaginario che il capitalismo ha cercato di venderci negli ultimi cinquant’anni come desiderabile, per distrarre l’attenzione dai costi umani e non umani della crescita, dallo sfruttamento del lavoro povero all’estrattivismo, dalle gerarchie di genere all’accumulazione senza limiti.

    La domanda da porsi quando si racconta l’utopia è: cosa c’è di desiderabile fuori da questi immaginari capitalistici?

    Il primitivismo di John Zerzan? Il funzionalismo cristiano di Thomas Moore? La comunione mistica con gli spiriti della Terra? Le risposte possono essere tantissime, quante le narrazioni dell’utopia possibili; ma giungere a una di queste risposte è un passo necessario e difficile nel contesto in cui siamo immers3, in cui l’immaginario valoriale ed estetico capitalista non è solo tutto intorno a noi, ma è dentro di noi.

    Sono queste le cose a cui scrivere Solarpunk ti costringe a pensare.

    ——- /// ——-

  • Scrivere un racconto Solarpunk

    Un punto preliminare: Cos’è il Solarpunk?

    Se lo sai, passiamo alla questione della scrittura. Non entrerò nel merito del perché scriverlo – se ti interessa ci sono alcuni spunti sul valore della speculazione nell’articolo di giardino punk dedicato a Quattro modelli di futuro.

    Per quanto riguarda il come scriverlo, quello che sto imparando con la pratica è che non è sufficiente un racconto immaginifico e armonico per fare un discreto solarpunk. Il conflitto, come in ogni altra storia, emerge dal contesto che stiamo raccontando, e per questo la comprensione dei mondi che creiamo deve andare oltre la visione utopica e addentrarsi nei meccanismi, nelle genealogie e nelle contraddizioni di quel mondo.

    Alcune caratteristiche del genere che annoto qui in ordine sparso:

    • Il soggetto della storia può essere una persona o anche un soggetto non umano, ma più spesso è un soggetto collettivo, come una comunità, e allo scioglimento del conflitto ci devono arrivare tutt3 insieme.
    • Il materialismo c’è, anche quando non si vede. Domande tipo di cosa vivono le persone e chi costruisce i telefoni cellulari o qualunque altra cosa sono fondamentali per il worldbuilding, anche quando queste informazioni non finiranno nel testo.
    • La componente visiva è importante ma non si deve legare per forza alla bellezza naturale, alla tecnologia di alto livello e a tutto ciò che troviamo nelle opere visive e illustrazioni solarpunk.
    • Ottimismo, ma con coscienza dei limiti e delle difficoltà.
    • La questione della scienza e delle tecnologie è particolarmente spinosa per chi si avvicina al solarpunk dalla politica, dalla letteratura o dalle scienza sociali, perché dischiude campi di conoscenze più ampi e complessi di quanto si possa imparare in breve tempo e da autodidatti. In generale, penso che le tecnologie vadano raccontate in maniera semplice ma non semplicistica, dando a Cesare ciò che è di Cesare e lasciando a ogni campo di saperi il proprio lessico (dall’agricoltura, all’ingegneria e all’informatica). Se qualcosa è troppo complesso per essere imparato in prima persona, credo che andrebbe domandato a chi ne sa.
    • Anche per le tecnologie, vorrei evitare di andare a prendere oggetti troppo fantascientifici. Molto di quello che serve già c’è, almeno in progetto.
    • Al di là dell’aspetto tecnico, c’è una gran parte di contenuto essenzialmente politico che va affrontato e in qualche modo reso esplicito nelle storie. E questo va fatto, a mio parare, in maniera propositiva, con l’idea di potere allungare la mano e andare a prendersi quella visione. Al cuore di tutto c’è un impegno, che non è solo un impegno individuale, ma è anche un impegno individuale e quotidiano. Questo vale ovviamente per la vita, ma credo che sia uno dei messaggi più forti che la narrativa può trasmettere.

    Per prendere ispirazione:

    ——- /// ——-