Ho scelto una forma un po’ informe per parlare di qualcosa che è effettivamente ancora un po’ informe.
L’antologia di cui parlo alla fine è The weight of light. A collection of solar futures ed è scaricabile gratuitamente da qui.
Ho scelto una forma un po’ informe per parlare di qualcosa che è effettivamente ancora un po’ informe.
L’antologia di cui parlo alla fine è The weight of light. A collection of solar futures ed è scaricabile gratuitamente da qui.
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La storia che sto scrivendo in questo momento si chiama L’arcipelago dei limoni e, in pochissime parole, è un racconto più o meno solarpunk ambientato in un’Italia che è stata quasi interamente sommersa dal mare. Alcune cime degli Appennini sono riemerse come isole in questo nuovo paesaggio. L’arcipelago che si è formato ospita alcune comunità di superstiti, che vivono grazie a un sistema centralizzato di distribuzione delle risorse. Sistema che, neanche a dirlo, ha dei problemi…
Qui la mappa:
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Reihardt nel secondo capitolo della sua storia del pensiero politico moderno storicizza il comunismo di Marx inserendolo nello sviluppo delle idee di utopia. Non solo Marx rientra in questa corrente, ma sembrerebbe essere il punto più alto raggiunto finora (sebbene io sia convintə che la prefigurazione anarchica è più utopica della teoria marxista).
Pensare, e quindi raccontare, l’utopia è molto difficile perché devi prima di tutto decolonizzare l’immaginario. Quando pensi: “qual è il modo migliore possibile in cui questo potrebbe essere?” in genere la risposta ricalca la forma che il capitalismo le ha dato. Ad esempio se chiedi: qual è il mondo migliore che puoi immaginare, sarà probabilmente quello in cui tutti hanno tutto, faticano il giusto e ottengono i loro risultati, c’è la crescita economica, la tecnologia ci aiuta (tutt’al più è equa, con qualche forma di fully automated luxury communism). Ma in realtà, da un punto di vista estetico e funzionale, questo è esattamente l’immaginario che il capitalismo ha cercato di venderci negli ultimi cinquant’anni come desiderabile, per distrarre l’attenzione dai costi umani e non umani della crescita, dallo sfruttamento del lavoro povero all’estrattivismo, dalle gerarchie di genere all’accumulazione senza limiti.
La domanda da porsi quando si racconta l’utopia è: cosa c’è di desiderabile fuori da questi immaginari capitalistici?
Il primitivismo di John Zerzan? Il funzionalismo cristiano di Thomas Moore? La comunione mistica con gli spiriti della Terra? Le risposte possono essere tantissime, quante le narrazioni dell’utopia possibili; ma giungere a una di queste risposte è un passo necessario e difficile nel contesto in cui siamo immers3, in cui l’immaginario valoriale ed estetico capitalista non è solo tutto intorno a noi, ma è dentro di noi.
Sono queste le cose a cui scrivere Solarpunk ti costringe a pensare.
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Un punto preliminare: Cos’è il Solarpunk?
Se lo sai, passiamo alla questione della scrittura. Non entrerò nel merito del perché scriverlo – se ti interessa ci sono alcuni spunti sul valore della speculazione nell’articolo di giardino punk dedicato a Quattro modelli di futuro.
Per quanto riguarda il come scriverlo, quello che sto imparando con la pratica è che non è sufficiente un racconto immaginifico e armonico per fare un discreto solarpunk. Il conflitto, come in ogni altra storia, emerge dal contesto che stiamo raccontando, e per questo la comprensione dei mondi che creiamo deve andare oltre la visione utopica e addentrarsi nei meccanismi, nelle genealogie e nelle contraddizioni di quel mondo.
Alcune caratteristiche del genere che annoto qui in ordine sparso:
Per prendere ispirazione:
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